LA CORTE DI ASSISE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel procedimento a carico di
  Alberti  Gerlando  e  Sutera  Giovanni, nonche' di Federico Franca,
  Federico  Giuseppe, Cannistra' Agata e Romano Francesco, imputati i
  primi  due  dell'omicidio  aggravato  di  Campagna  Graziella e del
  connesso  reato in materia di armi, commessi in Villafranca Tirrena
  (Messina)  il  12  dicembre  1985,  e  gli  altri  del reato di cui
  all'art. 378  c.p.,  commesso  in  Barcellona  P.  G. (Messina) nel
  maggio 1997.
    All'inizio  di  questa  udienza  l'imputato  Alberti  Gerlando ha
  personalmente avanzato richiesta di giudizio abbreviato.
    Il suo difensore, intervenuto successivamente, ha evidenziato che
  la richiesta e' stata avanzata ai sensi dell'art. 223 del d.lgs. 19
  febbraio  1998,  n. 51, Norme in materia di istituzione del giudice
  unico,  cosi'  come modificato dall'art. 56 della legge 16 dicembre
  1999,  n. 479,  ed  ha al contempo la illegittimita' costituzionale
  della  norma, ai sensi degli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella
  parte  in  cui  la  disposizione  consente  l'accesso  al  giudizio
  abbreviato nei procedimenti in corso solo all'imputato che ne abbia
  fatto richiesta prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale.
    Il  pubblico  ministero  e  il difensore delle parti civili hanno
  chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
    La  problematica  sottoposta all'esame di questa Corte scaturisce
  evidentemente  dalle  modifiche  introdotte  dalla recente legge 16
  dicembre 1999, n. 479, contenente, tra l'altro, modifiche al codice
  di  procedura penale, che ha per un verso inciso radicalmente sulla
  natura  e  sulla  struttura  del giudizio abbreviato, ponendo quale
  unico  presupposto del rito alternativo la richiesta dell'imputato,
  che   puo'   essere  subordinata  ad  una  integrazione  probatoria
  necessaria  ai fini della decisione, che il giudice, che dispone il
  giudizio abbreviato con ordinanza, reputi effettivamente tale e che
  appaia compatibile con le finalita' di economia processuale proprie
  del  procedimento  (art. 438  c.p.p.,  nuovo  testo);  la  modifica
  dell'art. 223  del  d.lgs.  n. 51 del 1998, con la soppressione del
  riferimento  alla  necessita'  dell'acquisizione  del  consenso del
  pubblico ministero, e' coerente con il nuovo impianto normativo.
    Per  altro  verso  il  legislatore,  con  la normativa citata, ha
  colmato  una  lacuna  del  sistema  prodotta  dalla declaratoria di
  illegittimita'  dell'art. 442  c.p.p., che la Corte costituzionale,
  con  sentenza  del  23  aprile  1991,  n. 176,  aveva dichiarato in
  contrasto  con  l'art. 76  della  Costituzione  per  violazione dei
  criteri  della  legge  delega  (v.  art. 2,  n. 53  della  legge 16
  febbraio  1987, n. 81), nella parte in cui contemplava, al di fuori
  di   una   corrispondente   previsione   della   stessa  legge,  la
  sostituzione della pena dell'ergastolo, in caso di condanna, con la
  pena  di trenta anni di reclusione; la normativa piu' recente si e'
  limitata  a  reintrodurre,  con  previsione  di  rango primario che
  sfugge   alle   censure   perche'  frutto  di  una  precisa  scelta
  legislativa,    il    periodo   espunto   dalla   declaratoria   di
  illegittimita' costituzionale.
    Va  sul  punto  rilevato,  con  riferimento ad uno dei profili di
  illegittimita'  denunciati dal difensore delle parti civili, che la
  sostituzione  prevista e' riconducibile ad un ragionevole esercizio
  della  discrezionalita' legislativa, diretto peraltro a colmare una
  evidente  lacuna  normativa,  e  tali  ragioni  appaiono prevalenti
  rispetto  al  sostanziale depotenziamento del sistema sanzionatorio
  che essa produrrebbe, frustrando le finalita' generalpreventive che
  fino  ad  oggi  si  sarebbero  opposte  alla abrogazione della pena
  dell'ergastolo;  e correlativamente, contrariamente a quanto assume
  lo  stesso  difensore,  non poteva essere fondatamente sollevata in
  precedenza  alcuna  eccezione  relativa alla mancata previsione del
  giudizio  abbreviato  nell'ipotesi di reati puniti con l'ergastolo,
  poiche'  la  previsione  di  una pena di specie diversa coinvolgeva
  scelte discrezionali non rientranti tra le attribuzioni della Corte
  costituzionale.
    Tuttavia  le  modifiche  introdotte  si  riflettono  sulla  norma
  transitoria   dell'art. 223,   rendendone   evidenti  i  limiti  di
  legittimita'  alla  luce  degli  artt. 3 e 24 della Costituzione ed
  imponendo   a   questa   Corte   di  dichiarare  la  questione  non
  manifestamente infondata.
    Secondo    la    costante    interpretazione    giurisprudenziale
  (affermatasi definitivamente a partire da Cass. S. U. 6 marzo 1992,
  p.m. in proc. Piccillo ed altro; v. tra le piu' recenti, ex multis,
  Cass. 25 maggio 1998, Aleci ed altro), "per effetto della pronuncia
  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 442,  comma  secondo,
  ultimo  periodo,  c.p.p.,  il  giudizio  abbreviato"  non  era piu'
  "ammesso quando l'imputazione enunciata nella richiesta di rinvio a
  giudizio concerne un reato punibile con l'ergastolo", difettando il
  giudice  per  le  indagini  preliminari  del  potere di definire il
  giudizio  con le forme di cui agli artt. 441 e 442 c.p.p. anche ove
  ritenesse di irrogare una sanzione diversa dall'ergastolo.
    La  preclusione insuperabile riguardava peraltro anche il giudice
  del dibattimento, a cui non era consentito di trarre in questo caso
  le conseguenze consentite, in generale, da altre due note pronunzie
  di   incostituzionalita',   che   lo   abilitavano   ad   applicare
  all'imputato  la  riduzione  di  un terzo della pena a dibattimento
  concluso,  ove  fosse stato ritenuto ingiustificato il dissenso del
  pubblico  ministero  (che era stato obbligato dalla stessa sentenza
  n. 81  del  15  febbraio  1991  ad  enunciare  le  ragioni  di tale
  dissenso), oppure ove si fosse ritenuto il processo gia' definibile
  allo  stato  degli  atti  dal  giudice  per le indagini preliminari
  (sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992).
    Nel  caso  in  esame,  anche  ai  fini  della  valutazione  della
  rilevanza   della   questione   proposta,   va   rilevato   che  la
  contestazione  sub b) concerne un omicidio aggravato ai sensi degli
  artt. 576,  primo  comma,  n. 3,  e  577,  primo  comma, n. 3, c.p.
  (perche'  si  ipotizza  lo stato di latitanza dei due imputati e la
  premeditazione),  astrattamente  punibile  con  l'ergastolo gia' in
  virtu'   dell'inserimento   di   una   sola  delle  due  aggravanti
  contestate.
    Cio'   ha  determinato,  in  occasione  dell'udienza  preliminare
  sfociata  nel  decreto  che dispone il giudizio del 29 giugno 1998,
  l'impossibilita' di accedere al rito abbreviato, con il diritto, in
  caso  di  condanna,  all'abbattimento  della  pena,  e  l'eventuale
  richiesta in tal senso avanzata avrebbe dovuto essere rigettata.
    Peraltro, modificato l'impianto generale del giudizio abbreviato,
  e  configurato  una  sorta  di  vero  e  proprio diritto pressoche'
  incondizionato   dell'imputato   ad  ottenere  la  definizione  del
  procedimento  nelle forme del rito speciale e a conseguire, in caso
  di  condanna,  la  riduzione  della pena, la limitazione introdotta
  dalla  norma transitoria dell'art. 223 per i procedimenti in corso,
  che   consente   all'imputato,   in   una  prospettiva  che  appare
  esclusivamente  deflazionistica,  di  formulare  la  richiesta solo
  prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale, sembra arbitraria
  e comprime irragionevolmente il diritto di difesa.
    Sotto  il  primo  profilo  la norma, divenuta proponibile, con la
  legge n. 479 del 1999, la richiesta di giudizio abbreviato anche in
  presenza  di reati puniti con l'ergastolo, risulta discriminatoria,
  in  violazione  dell'art. 3 Cost., per gli imputati che a suo tempo
  la  richiesta non avanzarono attesa l'impossibilita' di accedere al
  rito  alternativo,  o che si videro per le stesse ragioni rigettare
  la  richiesta,  prima ancora di incontrare il dissenso del pubblico
  ministero,  e  che,  oggi,  avendo  superato il procedimento che li
  riguarda  il  momento  finale  di  proponibilita'  dell'istanza, si
  trovano  negata la possibilita' di conseguire, in caso di condanna,
  la cospicua riduzione della pena prevista dalla legge.
    Ed  invero,  anche  se  l'inizio  dell'istruzione dibattimentale,
  eventualmente  in  fase  di esaurimento, priverebbe lo strumento di
  effetti  concreti  sul  piano della deflazione dei dibattimenti, la
  scelta  di  questa  unica  prospettiva  tralascia  di considerare i
  cospicui  effetti,  sul  piano  sostanziale, che comporta la scelta
  dell'imputato di accettare che assurgano al rango di prova elementi
  che non possiedono originariamente tale valenza.
    E  sotto  tale  profilo  la norma censurata viola anche l'art. 24
  Cost.,   comprimendo  il  diritto  di  difesa  e  condizionando  la
  produzione  di  rilevanti  conseguenze di ordine sanzionatorio, che
  vanno   certamente   al   di   la'  del  rito,  ad  una  soglia  di
  ammissibilita'  il  cui  superamento  costituisce  un dato del tuto
  casuale,  estraneo  alle  scelte delle parti o dello stesso giudice
  che procede.
    Va  peraltro  puntualizzato,  in  relazione  alle  argomentazioni
  sviluppate dal rappresentante della pubblica accusa e dal difensore
  delle  parti  civili per illustrare la manifesta infondatezza della
  questione  sollevata  ed indurre questa Corte ad una determinazione
  diversa  da quella gia' recentemente adottata in altro dibattimento
  (ordinanza  del  18  febbraio 2000, procedimento a carico di Arnone
  Marcello  e  Molonia Giovanni, n. 32/96 R. G.), che la problematica
  sollevata non investe esclusivamente profili di ordine processuale;
  se   infatti,   ove  la  materia  fosse  di  natura  esclusivamente
  processuale, potrebbe forse invocarsi la legittimita' di una scelta
  diretta  evidentemente  ad  incidere  sulla  durata  dei giudizi in
  corso,  evitando  la  celebrazione  del dibattimento, cio' non puo'
  ugualmente    farsi,   ad   avviso   di   questa   Corte,   laddove
  dall'applicazione  della  norma  processuale  di  tipo  transitorio
  discendono  conseguenze  di  cosi'  significativo rilievo sul piano
  sostanziale.